Apre l’incontro Lisa Mazzi, che è stata al Congresso Annuale di DaMigra (Dachverband der Migrantinnenorganisationen). Lisa riferisce che l’organizzazione, che si è riunita a Potsdam il 18 e 19 giugno, lavora ad altissimo livello, avendo come propri Ansprechspartner persino membri del governo. Si tratta pertanto di un’associazione di grande importanza, cui anche Rete Donne è legata, che tiene le fila e coordina il lavoro delle associazioni di donne migranti attive in Germania con numerose proposte.
Alla riunione di quest’anno, si è affacciata una nuova associazione, coordinata dalla avvocatessa di origine bosniaca Jasmina Pirpic: si tratta di Anwältinnen ohne Grenzen (Avvocatesse senza frontiere). Questa associazione intende offrire assistenza alle donne rifugiate, aiutandole a districarsi nei quotidiani problemi legali come in situazioni di particolare impegno e difficoltà, nelle quali ovviamente possono venire a trovarsi. Lisa ha sottolineato le eccezionali qualità umane e professionali della Pirpic, lei stessa con un complesso percorso personale, essendo fuggita dalla Bosnia circa vent’anni fa, negli anni del conflitto con la Serbia.
Ilaria Fioravanti ha poi presentato i risultati dell’indagine condotta al nostro interno due mesi fa con l’aiuto di un questionario, e lo ha fatto elaborando i dati raccolti e proiettando la “mappa grafica” che ne è derivata. I risultati sono stati, da tutte le presenti, giudicati di grande interesse poiché conducono verso una maggiore consapevolezza di ciò che RDB è per noi e di ciò che essa possa fare per ognuna di noi. I temi delle domande, che ci furono allora sottoposte, ruotavano attorno a quattro diverse questioni legate a identità, attività, valorizzazione e ruolo di RDB.
Ilaria ha evidenziato il fatto che “scambio” è la parola che, nelle risposte, ricorre più frequentemente: lo scambio, tra di noi come con associazioni di donne tedesche o di altre nazionalità, è una profonda necessità e viene percepito anche come risorsa fondamentale. Per ciò che riguarda il contributo, che ognuna di noi può offrire all’interno dell’Associazione, esso si può esprimere attraverso il supporto ai diversi progetti tramite la condivisione di contatti che si hanno, e delle proprie competenze e attitudini.
Nell’ambito della presentazione di questi risultati, Lisa sottolinea che c’è spazio per iniziative personali e che tutte le proposte possono essere vagliate. Il Direttivo ha una sua opinione determinante in tale senso.
Lisa ricorda l’iniziativa del 3 luglio al Museum Ëuropeischer Kulturen. Ci sarà una visita guidata alla mostra “Erfüllbare Träume?” a cura di Cinzia della Giacoma, alle ore 15, mentre alle ore 16 il ristorante ‘A Muntagnola ha organizzato un buffet (degustazioni a 10 euro) ed un incontro con la proprietaria del ristorante, signora Angela Matarrese, originaria della Basilicata, cui parteciperanno Lisa, in qualità di moderatrice, ed una giornalista tedesca amica della signora Matarrese, che avrà il compito di tradurre l’incontro in italiano e in tedesco. Obiettivo dell’incontro sarà un dialogo sulle tradizioni culinarie della Lucania, come sulla nascita di questa impresa a conduzione familiare, il ristorante ‘A Muntagnola, appunto. Il tutto approfondito da un dibattito sull’esperienza della migrazione, che è anche tema della mostra. Per pubblicizzare questo incontro, verrà prodotto un flyer.
Altro tema è stato il futuro congresso annuale di Rete Donne, che si terrà a Lipsia i prossimi 24 e 25 settembre, presso il Kunstwerk di Lipsia, struttura di pregio architettonico presso il quale si potrà anche pernottare e mangiare. Il 24 settembre, che è un sabato, si terrà a Lipsia la Mitgliederversamlung, riunione annuale delle socie di Rete Donne, e si voterà per la Presidente dell’Associazione (a questo proposito, Lisa ha detto che non sa se si ricandiderà). Il tema di quest’anno sarà “Donne e Salute” e tra gli obiettivi del convegno c’è anche quello di coordinare le donne di Lipsia – già riunite nell’Associazione “Le donne visibili” – allo scopo di creare anche in questa città una branca di Rete Donne.
Daniela Spoto, illustratrice che ha partecipato alla mostra del Museo delle Culture Europee, riferisce di aver pubblicato un libro dal titolo “Due valigie e cinque anni”, già presentato al Wale Caffè – caffè letterario di Neukölln – e alla libreria italiana Mondolibro.
Grande interesse ha destato l’incontro con Fatima, giovane studiosa arabo-tedesca di discipline politiche alla Freie Universität di Berlino. Fatima ha parlato della sua esperienza di giovane musulmana in Germania ed ha raccontato che, a 15 anni e contro il volere dei suoi genitori, ha deciso di iniziare a portare il velo islamico. Figlia di padre egiziano e madre tedesca, ha raccontato che a Bielefeld, sua città di provenienza, è stata guardata con sospetto nel momento in cui ha deciso di portare il velo, mentre a Berlino ha incontrato meno problemi. Il velo per lei non è un Pflicht, ovvero dovere o imposizione, ma come un’offerta a Dio. Inoltre si sente più libera e si sente di più se stessa poiché così non deve sottomettersi ai dettami della moda occidentale e non è obbligata a truccarsi. Le affermazioni di Fatima scatenano un dibattito cui tutte le presenti si sentono chiamate a partecipare. Lisa legge un brano del Corano, tratto da un articolo di Milena Rampoldi ove si dice in sostanza che il Profeta – nella società islamica –impone il velo e che la donna è visibile solo per i padri e i mariti e i padri dei mariti. Benché Lisa non sia d’accordo col paragone tra la stella gialla, imposta agli ebrei dal regime nazionalsocialista, e Kopftuch (v. articolo pubblicato sulla rivista Micromega ), per il resto Lisa crede che il velo islamico sia un simbolo di proprietà: la donna diviene simbolo visibile di proprietà dell’uomo, marito e padre. Secondo Milena Rampoldi invece è naturale che sia cosí per le donne religiose. Per Fatima, bisogna contestualizzare storicamente il problema. Atatürk aveva ad esempio proibito il Kopftuch. Si tratterebbe quindi, secondo la giovane studiosa musulmana, più di una questione storico-politica, che non religiosa e la religione avrebbe, secondo lei, più a che vedere con scelte di carattere personale. Questo in risposta ad una domanda di Lucia e Rachele che hanno riferito che, a Berlino negli anni ’80 e ’90, le donne turche non avrebbero portato il velo.